A casa mia si dice “nuddu ammiscatu cu nenti”

La parte più significativa della mia formazione umana e culturale è avvenuta nei “tre mesi di vacanza” infamati dal ministro Poletti. Le letture formative, gli incontri, le cazzate, la musica, il mare e soprattutto il tempo speso a oziare, a far niente e a fantasticare, mi hanno reso la persona che sono, non migliore di tante altre ma dotata di spirito critico e consapevole dei propri limiti e dei propri punti di forza.
La libertà dei ragazzi spaventa gli adulti. I ragazzi, soprattutto gli adolescenti, spaventano, anzi terrorizzano gli adulti perché incomprensibili sfuggenti com’è giusto che siano. Lo scrivo perché anche io, che ormai sono un adulto, a volte ne sono confuso, disorientato e ancor di più lo sono stato nella mia breve esperienza da professore, in particolare nei mesi trascorsi a insegnare in una scuola superiore.
Lavoro a pieno regime da poco meno di otto anni e sono bravo in quello che faccio, sono bravo come potrei essere bravo in mille altre cose (e completamente incapace in altrettante) e le mie risorse, quelle da cui attingo quando sono in difficoltà, che mi permettono di trovare una soluzione ai problemi o quanto meno di aggirarli o – capita, non di rado capita – di arrendermi quando non esistono alternative, provengono dai mesi trascorsi in vacanza, dagli imprevisti, da quello spazio di tempo infinito ed eterno che era l’estate quando ero un bambino, un ragazzino e infine un ragazzo.
Una della persone che più stimo e ammiro, anni fa mi disse che “non si diventa bravi perché si frequenta l’università, ma nonostante la si frequenti”. Questo non vuol dire sminuire lo studio e la formazione – l’autore della frase è un ottimo docente universitario – tutt’altro, ma sottolinea i limiti – naturali e inevitabile – che scuola e università portano con sé.
Non ingabbiamo i ragazzi, non nascondiamo il senso di indefinito che provocano in noi, nella stronzata del “più stretto rapporto tra scuola e mondo del lavoro” e ancora – ed è questo il nodo centrale – non cerchiamo di coprire in questo modo la pochezza di ciò che viene offerto loro, il senso di abbandono, le famiglie devastate, l’incapacità di offrire alternative reali – nella grandi come nelle piccole città – dove possano essere completamente liberi di sperimentare e allo stesso tempo non soli con se stessi ma dentro un tessuto – che sia famigliare, sociale o amicale – pronto ad aiutarli quando necessario. E se questa vi pare una stronzata o – nel migliore dei casi – non vi pare una vera risposta al problema o solo una divagazione, be’ siete come il ministro Poletti.
A casa mia si dice “nuddu ammiscatu cu nenti”.

A casa mia si dice “nuddu ammiscatu cu nenti”

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