Ogni giorno, da circa sette mesi, attraverso via Melchiorre Gioia intorno alle 8 del mattino e mi dirigo verso Isola tagliando per il parchetto che ospita la Fondazione Catella. Come me, centinaia di persone percorrono ogni giorno, negli stessi orari, quelle strade.
Col tempo alcuni visi sono diventati familiari, in alcuni casi sono perfino in grado di indovinare l’orario in base alle persone che incontro. C’è la stangona mora delle 8:05 che sbuca dall’uscita alla mia destra della M2 e la biondina che alle 8:14 toglie le ballerine e indossa lo stiletto all’angolo tra piazza Luigi Einaudi e via Giovanni Battista Pirelli oppure il meccanico in tuta AGIP che incontro alle 7:40, quando esco di casa presto, e in mano ha sempre un libro di fantascienza.
A tutta questa variopinta umanità un po’ mi sono affezionato e quando qualcuno scompare mi chiedo che fine abbia fatto. Dove sarà adesso la ragazzina riccia col piercing al naso che incrociavo sul tram 9 alle 8:30? Frequenterà l’università o un corso per visagiste? E il ragazzo col chiodo alla Marlon Brando e la copia di Metro nella tasca posteriore dei jeans? Sarà stato licenziato o avrà cambiato lavoro? Mi diverte immaginare le vite di questi sconosciuti dal volto familiare, inventare per loro un passato e un presente, azzardare un futuro.
Naturalmente non tutti gli incontri rimangono impressi nella memoria. Alcuni sono volatili come il pulviscolo illuminato dai raggi del Sole che penetrano dalle feritoie, altri sono invisibili, altri invece li aspetti tutti i giorni, anche se non sai di farlo, e te ne rendi conto solo quando non sono più lì, ad attenderti composti al loro posto.
Attraversata via Gioia, all’incrocio in cui via Pirelli cambia nome e diventa via Sassetti, subito dopo l’uscita della metro dal lato del Wheatfield, ho notato sin dalle mie prime camminate uno scooter parcheggiato sul bordo della strada. Un po’ più in là, al riparo tra gli ex uffici tecnici comunali e la recinzione del campo di grano, una coppia intenta ora a parlare, ora a baciarsi, altre semplicemente a tenersi la mano. A colpirmi non era tanto l’atteggiamento, quanto la loro età. Lui sulla cinquantina, capelli ricci brizzolati e una pancia prominente fasciata da un giubbotto Dainese, lei più giovane, tra i trentacinque e i quaranta, capelli castani e mossi, non molto alta.
Il modo in cui l’uomo le stringeva le mani nelle sue, le carezze che le portava al volto, trattenendosi a lungo a guardarla negli occhi, questo ripetersi quotidiano dei loro incontri, strideva in qualche modo con il loro aspetto maturo, ma allo stesso tempo era carico di tenerezza. Come due adolescenti che si annusano, inconsapevoli delle polveri sottili, dei microrganismi patogeni, dell’herpes, di me che cammino a pochi metri di distanza diretto all’ufficio e ogni mattina, per mesi, rivolgo loro un’occhiata sfuggente e mi chiedo chi sono, quali sono le loro vite. Di certo non vivono insieme, non si incontrerebbero così all’aperto. Magari lui abita ancora con la mamma o forse è lei a vivere ancora con una madre o un padre con la mania del controllo, o più semplicemente lui è sposato, ma ha conosciuto questa donna più giovane di lui e si sono innamorati. Ecco deve essere così, è la spiegazione più banale, ma forse è anche quella giusta. E per me, che li incontro da mesi, sono diventati gli amanti di Gioia, una presenza fissa nelle mie giornate. O meglio, erano una presenza fissa nelle mie giornate, perché da settembre, dal mio rientro dalle ferie, gli amanti di Gioia sono spariti.
Non me ne sono accorto subito. Solo un venerdì di inizio ottobre, alla vista di un’altra coppia di mezz’età che passeggiava mano nella mano ai piedi del Bosco verticale, ho fatto caso all’assenza degli amanti di Gioia. Ho pensato che forse ero io a non averli notati in questi mesi carichi di impegni, preso come sono dal lavoro, dalla bimba in arrivo, dalla sceneggiatura del fumetto o semplicemente distratto dalla musica nelle cuffie. O magari i due amanti hanno cambiato orari e abitudini. Ho ipotizzato queste e decine di altre possibili cause, ma l’unico fatto certo è la loro scomparsa. Almeno fino a qualche giorno fa, quando a pochi metri dall’ingresso della metropolitana ho incrociato lui, con il giubbotto Dainese e la pancia prominente, intento a parlare, anzi urlare, al telefono parole che non lasciano adito al dubbio, frasi che è inutile riportare e che, con ragionevole certezza, mi hanno fatto capire che gli amanti di Gioia non si amano più.