La paura ci frega tutti

Quando ero un bambino trascorrevo una parte dell’estate in campagna e uno dei mi giochi preferiti consisteva nel pedalare come un forsennato per prendere velocità con la bicicletta, lanciarmi contro il cancello in ferro battuto e frenare all’ultimo momento utile. Mi piaceva un sacco. Una volta però il cavo del freno posteriore si è spezzato e mi sono schiantato. Ricordo tutto benissimo: il cavo che cede e fende la mia guancia, la ruota anteriore che impatta contro il metallo, la bici che si solleva dal retro e l’urto della mia testa contro il cancello. Tutto si consuma in un attimo, io mi ritrovo a terra, dolorante, con un bernoccolo che cresce di secondo in secondo, un taglio sulla faccia; accanto a me la fedele bmx con la forcella irrimediabilmente storta.
Oggi non ho più una bmx, ma una mountain bike che uso raramente e non mi lancio più di schianto contro cancelli o inferriate, né salto i fossi o affronto le curve in derapata, e non lo faccio non perché non mi piace o non lo trovo più divertente, non lo faccio semplicemente perché adesso ho paura di farlo, o meglio, ogni volta che l’ho rifatto da adulto è subentrato sempre un po’ di timore che non mi ha permesso di godermi il momento o di compierlo al meglio.
Ricordo di aver letto, qualche anno fa, un’intervista in cui Gerhard Berger spiegava che il peggior nemico di un pilota è l’avanzare degli anni, perché gli anni portano con sé la paura e la paura fa rallentare. Penso che quanto detto da Berger e quanto vissuto da me in prima persona siano una chiave per leggere il mondo che ci circonda o almeno la realtà italiana. Una nazione che invecchia, una nazione in cui il 22% della popolazione ha oltre 65 anni (e la percentuale è destinata a crescere) non può non avere paura, perché è naturale, perché l’età porta saggezza e prudenza, ma saggezza a prudenza assopiscono i sensi e la curiosità, li mandano in letargo e si trasformano in paura perché si tende – per limitazioni fisiche, per pigrizia, stanchezza, per mille valide ragioni – ad avere paura di ciò che non si conosce e si tende a conoscere sempre meno e a conoscere solo ciò che conferma le nostre certezze e le nostra paure. Certo, la mia riflessione non basta a giustificare il successo e la popolarità della Lega, il rinascere di movimenti di estrema destra e soprattutto il razzismo sempre più manifesto che ci circonda, ma credo che sia valida e abbia il suo peso – un peso non da poco – sul nostro oggi. La paura è un carburante potente, brucia in fretta, le fiamme si propagano con facilità e quando vengono a contatto con una cisterna il rischio di esplosione è alto. Ecco, le cisterne sono piene di paure comuni, molte delle quali giustificabili – per l’affitto troppo alto o il mutuo che non si riesce a pagare, il lavoro che non c’è e infinite altre cose –, e ci vuole poco a far saltare tutto in aria.
Il mio non è un atto di accusa verso la fascia più anziana della popolazione, sarebbe stupido fare una cosa del genere, e non posso negare che anche io sto invecchiando, che anche io – da padre, da quasi quarantenne – inizio a scoprire in fondo agli occhi, dietro le rughe o nascoste tra i capelli bianchi, delle paure, ma io non voglio avere paura, voglio continuare a camminare la notte per le strade della mia città, voglio continuare a fidarmi di quel che sarà perché è innegabile: un uomo che ha paura è sterile o genera solo un feto deforme come quello conservato sotto formalina da Chiara ne I Viceré di De Roberto e una comunità fatta da uomini così è destinata a morire.

La paura ci frega tutti

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