Sei anni fa ho avuto modo di conoscere Wanda Póltawska una donna polacca che venne rinchiusa e usata come cavia nel lager di Ravensbrück. In quell’occasione non parlammo di Ravensbrück, in quell’occasione io non parlai affatto se non per dire “Buongiorno” e confermare al prete che la accompagnava che Błażej Augustyn giocava nel Catania.
All’epoca non avevo ancora letto il libro in cui raccontava la sua prigionia – Ed ho paura dei miei sogni – però sapere che accanto a me sedeva una donna sopravvissuta a Ravensbrück mi bloccava; mi sentivo inadeguato, fuori posto.
A distanza di anni mi sento di dire che la sua testimonianza – forse per via di quell’incontro – mi ha segnato più di quanto non abbiano fatto La notte di Elie Wiesel, Anni di infanzia di Jona Oberski o i romanzi di Levi.
Di seguito un capitolo del libro.